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domenica 13 dicembre 2009

BREGOVIĆ E KUSTURICA: AMICIZIA, INIMICIZIA E GENIO


Molti hanno pensato, e scritto, che dopo la separazione tra Goran Bregović ed Emir Kusturica tutto o quasi sarebbe cambiato nelle rispettive carriere, ad un passo dall’imboccare un binario morto. Un po’ quel che si predicò quando Ciccio Graziani si allontanò dal Toro e da Paolino Pulici per andare alla Roma prima, alla Fiorentina poi. L’uno diventò campione del mondo e sfiorò la Coppa dei Campioni; l’altro finì per incarnare l’essenza stessa dello spirito granata, un simbolo destinato a durare per sempre. Dopo aver lavorato insieme per l’ultima volta in Underground, film datato 1995, malgrado certe previsioni facili e avventate Bregović e Kusturica hanno continuato a mietere successi. Il primo ha composto la colonna sonora per Train de vie di Radu Mihaileanu, oltre a sfornare album di successo internazionale quali: Ederlezi, Bregović&Kayah insieme alla sublime voce della cantante polacca, Songbook, Music for films, Tales&Songs from weddings and funerals, Bregović’s Karmen che raccoglie i brani dell’opera omonima che egli ha ideato, scritto e diretto; il secondo ha girato Gatto nero, gatto bianco con cui si è aggiudicato il Leone d’argento a Venezia, Super 8 stories sulla tournée europea della sua No Smoking Orchestra nel 2001, La vita è un miracolo. Nel giugno di quest’anno, inoltre, Kusturica ha portato in scena all’Opéra Bastille di Parigi la versione teatrale del Tempo dei Gitani, ottenendo un clamoroso successo di pubblico e critica.
Bregović e Kusturica si conoscono a metà degli anni Settanta nel cuore della vita artistica di Sarajevo. Entrambi sono originari dell’attuale capitale della Bosnia-Erzegovina, di una città ancora magica e incantata malgrado la violenza che l’ha scossa. Bregović, classe 1950, è di madre serba e padre croato, condizione che gli viene rinfacciata ora dall’una ora dall’altra parte; Kusturica, nativo del 1954, ha genitori serbi, ma un passato familiare musulmano che gli viene ricordato continuamente dai bosniaci. Follie nazionaliste lasciate in eredità dalla compianta Jugoslavia. Al tempo, Bregović ha già abbandonato lo studio del violino presso il Conservatorio per dedicarsi alla musica rock. Dall’età di sedici anni egli infiamma i suoi coetanei in formazioni come Bestie, Kodeks, Jutro e la più famosa, Bijelo Dugme (sdogananta come White Button), che ne farà l’idolo dei giovani sino a metà degli anni Ottanta. Il diciottenne Bregović trascorre un anno in Italia, a Napoli, Capri e Ischia, mantenendosi facendo musica d’intrattenimento nelle pizzerie e musica rock in alcuni club. Tornato in patria, si iscrive alla Facoltà di Filosofia, che non finirà mai a causa dell’improvviso e travolgente successo. Kusturica, dal canto suo, è un cineasta e bassista amatoriale. Finito il liceo, si stabilisce cinque anni a Praga per frequentare l’Accademia cinematografica FAMU, dove si laurea nel 1977 col cortometraggio di 25 minuti Guernica. Il film, peraltro, contiene già alcuni tratti tipici della sua arte: il grottesco, anzitutto. Si tratta della storia di un ragazzo cui viene spiegato che gli ebrei si riconoscono dalla forma del naso: incomincia, così, a ritagliare tutti i nasi contenuti nelle foto dell’album di famiglia per comporli in un’unica immagine. Rientrato a Sarajevo, Kusturica realizza due film per la televisione di stato: Arrivano le spose (1979) e Caffè Titanic (1980). Nel 1981 gira Ti ricordi di Dolly Bell?, che vince il Leone d’Oro a Venezia come miglior pellicola d’esordio. Il protagonista, ancora una volta, è un adolescente alle prese con la propria crescita civile e sessuale. Da un lato, il contrasto con il padre comunista e ubriacone; dall’altro, l’attrazione per l’avvenente Dolly Bell, una ragazzetta poco più grande di lui costretta a dimorare presso il suo pollaio dal trafficone del quartiere. Il suo soprannome, peraltro, le deriva dal film di Blasetti Europa di notte (1959) in cui per la prima volta viene immortalata una spogliarellista. La presenza della ragazza finirà per distrarre il sedicenne Dino Zolja dai propri studi sull’ipnosi, che egli cerca di praticare sugli animali di casa e su se stesso: “Ogni giorno sotto ogni profilo progredisco sempre di più”, si ripete senza sosta. Altrettanto ossessiva è la presenza di Ventiquattromila baci di Adriano Celentano, presente nel film praticamente in ogni forma, dalla filodiffusione all’improbabile versione cantata da Dino e i suoi amici in coro.

In questo periodo, si stringe ulteriormente l’amicizia tra Bregović e Kusturica; quest’ultimo conosce anche Nelle Karajilic dei Zabranjeno Pusenje (in seguito No Smoking Orchestra), gruppo attivo dal 1981. Nel 1985, è il Festival di Cannes a consacrarlo definitivamente con Papà è in viaggio d’affari, che gli guadagna la prima Palma d’Oro. Per il piccolo Malik, ennesimo protagonista giovanissimo di uno dei film di Kusturica, il papà è semplicemente in viaggio d’affari; in realtà, accusato di tradimento è stato deportato subito dopo il distacco di Tito dalla politica di Stalin. Per alcuni anni, entrando a far parte della No Smoking Orchestra come bassista nel 1986, il regista si dedica alla musica in attesa di una nuova idea da sceneggiare. Quando è convinto di avercela tra le mani, la collaborazione con l’amico Bregović – che intanto ha chiuso la parentesi coi White Button – è una conseguenza naturale. Incuriosito da un articolo sul commercio di bambini rom verso l’Italia, Kusturica si trasferisce per un certo periodo a Skopje, attuale capitale della Macedonia, iscrivendosi anche ad una squadra di calcio composta di soli zingari. Nel quartiere in cui vive ce ne sono oltre 50mila. Nasce così Il tempo dei gitani, i cui attori sono tutti non professionisti, rom per lo più analfabeti che il regista ha conosciuto direttamente. Il film, improvvisato per oltre due terzi, gli regala il premio alla miglior regia nel 1989 a Cannes. La storia racconta le vicissitudini del giovane Perhan, che per guarire la sorella paralitica si lascia guidare in Italia dal miraggio di facili guadagni. Al suo ritorno, il naufragio della storia d’amore che aveva interrotto trascina tutto nel sangue. La scena senz’altro più poetica e riuscita del Tempo dei gitani è quella della festa lungo il fiume, in cui il tema composto da Bregović, Ederlezi, accompagna ed esalta l’azione. Una scena che richiama Fellini, cui Kusturica ha ammesso di essere debitore: “Non sopporto il naturalismo dei film di Hollywood, dove il personaggio esce dalla macchina, apre la porta, sale sull'ascensore, esce dall'ascensore, attraversa i corridoi, apre la porta e poi chiude la porta. Trasporta grossi sacchetti del supermercato e poi li butta nel frigo. Poi dal frigo tirano fuori un gelato. Squilla il telefono. Allora lui si preoccupa. Risponde al telefono appoggiandolo sulla spalla. Amo i film di Fellini perché non ci sono protagonisti che si appoggiano telefoni sulla spalla” (da un’intervista rilasciata ad “Avvenimenti”, 2000). La magia, la poesia del film si ritrovano pure nella versione teatrale che Kusturica ha proposto nel giugno di quest’anno a Parigi. Sovente ci si perde la battuta del tabellone luminoso, dove scorre la traduzione in francese, per credere a quello che stanno osservando i propri occhi: oche che attraversano il palcoscenico implotonate e perfettamente istruite, un bambino che continua a palleggiare imperterrito in fondo alla scena, porte da calcio, cucchiai che si muovono da soli, Maradona che segna all’Inghilterra dribblando chiunque incontri sul suo percorso e De Niro che gioca con la pistola in Taxi driver. Il circo, un’altra eredità di Fellini, ha una parte importante nell’arte di Kusturica.
Dopo Il tempo dei gitani, Bregović e Kusturica si trovano a trascorrere la maggior parte della loro vita a Parigi. È il periodo delle tensioni razziali, e Bregović intanto ha preso in moglie una donna musulmana, nonché dell’imminente scoppio della guerra. Kusturica, attaccato all’indomani della Palma d’Oro per Underground (1995) a causa di una visione degli eventi un po’ troppo filo-serba, almeno secondo qualche critico, in proposito ha dichiarato: “Qualunque sia il posto dove scoppia una guerra, io ho un solo desiderio: quello di scappare. E me ne infischio del Paese che pretende che io muoia per lui”. Sta di fatto che in quel momento, ovvero quando le ostilità arrivano a coinvolgere Sarajevo, lui e Bregović sono negli Stati Uniti per girare Arizona dream – il valzer del pesce freccia. Kusturica viene invitato in America dal regista Miloš Forman, che aveva conosciuto all’Accademia di Praga, per tenere una serie di lezioni al Dipartimento di Cinema della Columbia University. La sua permanenza si protrae a causa del film e delle notizie turbolenti che provengono dalla madrepatria. Malgrado si percepisca un certo imbarazzo a dirigere attori importanti (del cast fanno parte: Johnny Depp, Faye Dunaway, Vincent Gallo, Jerry Lewis) e a “domare” una realtà estranea, la pellicola contiene momenti esilaranti di comicità e fantasia a briglie sciolte. Tra tutti, quello dei protagonisti che si librano nell’aria su una macchina simile a un deltaplano. La colonna sonora, ancora una volta a firma di Bregović, contiene una delle migliori, recenti performance di Iggy Pop. Per cantare Tv screen, Bregović gli affianca un'orchestra di vecchi gitani che soffiano nelle loro trombe ante-guerra e suonano dei corni di bue. Il film risulta un fiasco ai botteghini statunitensi; mentre in Europa, un anno dopo la sua realizzazione datata 1992, ottiene l’Orso d’Argento al Festival di Berlino e Kusturica si aggiudica il premio speciale alla miglior regia. Vivendo in maniera oramai stabile a Parigi, Bregović ha l’occasione di conoscere il regista Patrice Chéreau, che gli commissiona le musiche per La regina Margot. Anche questa volta il compositore di Sarajevo fa la differenza, creando brani maestosi con evidenti accenni rock e trascinando così la pellicola nella corsa verso la vittoria della Palma d’Oro a Cannes (1994). Il 1995 fa segnare il risultato più importante della coppia Bregović-Kusturica. Insieme, è davvero difficile scindere i meriti in questo caso, firmano Underground, che vale a Kusturica la seconda Palma d’Oro sulla Croisette. Il film inizia nella Belgrado bombardata della II Guerra Mondiale, e dalle bestie del suo zoo impaurite tra le macerie, per muovere verso la realtà contemporanea, come riferisce il sottotitolo: c’era una volta un paese. Le metafore sono moltissime: lo scantinato dove vivono i protagonisti rappresenta la volontaria assenza d’informazione da parte del regime di Tito, l’immagine del crocifisso in mezzo al piazzale bombardato sta per le prossime guerre di religione, l’isola che si trasforma in arcipelago nel finale indica la separazione della Jugoslavia. La presenza della musica di Bregović è dilagante e travolgente; ogni momento dell’azione è sottolineato al meglio dalla sua colonna sonora, il cui pezzo Kalašnikov è ormai aperto in tutto il mondo dai fans al grido di: “Juriš!” (Attacco!). A dimostrazione una volta ancora della sua straordinaria capacità di commistione Bregović, così come per La regina Margot si era servito della collaborazione di Ofra Haza, per la musica di Underground introduce Cesaria Evora. Qualche critico non si limita alla riuscita artistica del film, alla sua tenuta pressoché perfetta, ma attacca Kusturica imputandogli una visione filo-serba dei fatti. Il giornalista Alain Finkielk su “Le Monde” lo accusa di non aver realizzato un film sulla sua Sarajevo ma su Belgrado durante la II Guerra Mondiale, agitando lo spettro dei finanziamenti arrivati dalla capitale serba per la realizzazione. Si arriva a dipingerlo come un cinico speculatore sulle disgrazie della propria terra e dei suoi abitanti, rom inclusi. “Con Underground ho cercato di chiarire la storia della Jugoslavia fuori da ogni propaganda e dal bolscevismo per darne un'immagine epica, lontana dalla paranoia dei poliziotti di tipo orwelliano. Purtroppo ho avuto l'effetto contrario, hanno accusato me di propaganda. Ho vissuto un periodo davvero difficile, così ho deciso di non fare più film... Ma non ci sono riuscito!”, dichiara lui.
Prima di rimettersi dietro alla macchina da presa, tuttavia, passa qualche anno e avvengono importanti cambiamenti. Primo tra tutti, l’allontanamento dall’amico di un tempo Goran Bregović. I due non hanno mai chiarito le ragioni della separazione, che i soliti bene informati dipingono come burrascosa. “Abbiamo preso strade diverse”, si limitano a ripetere. Pare che il modo in cui Bregović, durante i propri concerti, si serve della musica composta per i film di Kusturica sia all’origine della decisione. Dieci anni dopo la conclusione dell’esperienza coi White Button, Bregović ricomincia infatti ad andare in tournée. Nell’estate del 1995 si porta appresso una band di 10 musicisti tradizionali, un coro di 50 elementi e un’orchestra sinfonica, per un organico complessivo di 120 persone. Effettua concerti in Svezia e in Grecia; il 26 ottobre suona davanti a 7500 persone alla Forest National di Bruxelles. La quantità delle sue “maestranze” spaventa i produttori, sicché l’anno dopo egli può contare poche esibizioni. Nel 1997, dopo aver ridotto fino a 50 elementi la comitiva e puntando molto sulle proprie musiche da film, Bregović inizia ad inanellare successi con la sua Wedding&Funerals band. La sua carriera ottiene un’ultima spinta, ad oggi pressoché inarrestabile, dopo la composizione della colonna sonora di Train de vie di Radu Mihaileanu (1998). Nello stesso anno, anche Kusturica torna a dedicarsi al cinema. Intanto, dal 1996 aveva ricominciato a suonare con la No Smoking Orchestra riunitasi a Belgrado dopo che pure Nelle Karajilic aveva abbandonato Sarajevo. Il gruppo si esibisce, alla faccia di chi lo accusava di complicità col regime di Milosević, tra l’altro anche durante le manifestazioni studentesche belgradesi. L’esperienza convince Kusturica a lasciare in mano alla band la composizione delle musiche per Gatto nero, gatto bianco, dal progetto di un documentario sugli zingari che avrebbe dovuto intitolarsi Muzika akrobatika. “In mille anni della loro storia in occidente, gli zingari non hanno mai fatto guerre. Mi piace il loro stare ai margini della storia, il loro modo di guardare alla ricchezza e alla povertà, spesso capovolto rispetto al nostro”, spiega il regista. Il film è la storia del matrimonio combinato tra Bubamara (Coccinella) e il suo promesso, che di stare insieme proprio non ne vogliono sapere, innamorati come sono di altre due persone. In realtà, è l’occasione per lasciar sfogare la macchina da presa dietro alle folli imprese dei protagonisti, al ritmo di una musica sfrenata. Le canzoni create per l’occasione, si pensi a Bubamara o Pitbull (“Ja sam mali pitbull – terrier”, “Io sono un piccolo pitbull – terrier”, scandisce il ritornello), trovano nei concerti la loro valvola di sfogo ideale. Epocale un’esibizione di qualche anno orsono della No Smoking Orchestra a Buenos Aires. Frenesia e follia, caos e sparatorie, ma Gatto nero, gatto bianco regala anche alcune scene di delicato lirismo, come quell’amore consumato tra i girasoli; nonché la consueta sortita circense, attraverso l’esibizione di un’enorme donna che toglie i chiodi dal muro con il sedere. Il film conquista il Leone d’Argento a Venezia, ma avrebbe certamente meritato il premio più ambito. Le scuse con cui si giustifica la vittoria di Amelio per Così ridevano si riducono, sostanzialmente, a un motivo di campanile: l’ultima affermazione italiana, infatti, risaliva alla Leggenda del santo bevitore di ben dieci anni prima.
Nel 2001, la musica è la scintilla che scatena in Kusturica nuovamente il desiderio di dirigere una produzione. Si tratta questa volta di Super 8 stories, un documentario sulla tournée europea della No Smoking Orchestra. La narrazione si sposta dal palco, e dal pubblico entusiasta degli ambasciatori della unza-unza music, alla vita privata dei musicisti. Kusturica vi è presente più come marchio di fabbrica, che come effettivo protagonista; non così suo figlio Stribor, giovane ed enorme batterista dai modi ruvidi. Imperdibili alcuni scherzi tra i componenti della band e il ricordo di Kusturica al tempo delle esibizioni durante i funerali per racimolare qualche soldo: “Le prime volte piangevo sempre, poi ci ho fatto l’abitudine, dovevo pur mangiare”. Gli ortodossi ammettono la presenza della musica anche in una circostanza tanto triste. Proprio con la sua Orchestra per matrimoni&funerali, da parte sua, Bregović centra un altro successo con l’album Tales&Songs from weddings and funerals (2002). Ne fanno parte otto canzoni, sette racconti; tra i brani anche l'esilarante Polizia molto arabbiata (con tanto di errore grammaticale), che vuole denunciare le vessazioni subite dagli immigrati slavi in Italia. Il prodotto è il risultato, oltreché del progetto di un film di cui Bregović è protagonista, di alcuni anni di ricerca e di esperienze artistiche libere da ogni logica commerciale. Basti ricordare il modo in cui Bregović ha deciso di aprire il tour italiano nel 2000, ovvero con Un grande matrimonio a Palermo in occasione della festa di Santa Rosalia del 14 luglio. Alle sue musiche si sono mescolati danzatori greci e sloveni in una coreografia del rumeno Edward Clug. Presenti le fanfare di Belgrado e di Sofia (un matrimonio senza fanfare non è possibile!) che, partendo da lati opposti di Palermo, hanno accompagnato gli uni le spose, gli altri gli sposi, in due festosi cortei che sono confluiti nella piazza centrale della città dove li attendevano il coro e l'orchestra di Bregović per un grande ballo finale.
Il 2004 è un anno di nuovi progetti per entrambi gli artisti. Kusturica finisce di girare La vita è un miracolo; Bregović incomincia a portare in scena, nei teatri d’Europa, la sua Karmen. La notizia è che, dopo una lunga ed ininterrotta serie di successi internazionali, Kusturica non ottiene alcun riconoscimento. In effetti, La vita è un miracolo paga un’eccessiva lunghezza affatto supportata – al contrario di altre volte – da una narrazione fluida. Il regista pecca, come d’abitudine, di eccessiva generosità; ma in questo caso la materia gli scappa un po’ troppo dalle mani. “Il cinema deve tornare a essere bigger than life come era nella Hollywood dei ’50 o ’70. Oggi troppi film sono fatti secondo le regole del marketing e il cinema è un po' inferiore alla vita”, si è giustificato lui. L’ambientazione risale al 1992, in pieno periodo bellico quindi, e lo spunto viene offerto a Kusturica da una storia raccontatagli a Tolosa molti anni dopo la fine delle ostilità. L’ingegnere serbo Luka si stabilisce in uno sperduto paesino tra le montagne della Bosnia insieme alla moglie Jadranka, folle e lunatica cantante lirica, e al figlio Miloś, giovane e talentuoso calciatore che sogna di giocare nel Partizan di Belgrado. Secondo il progetto governativo, Luka dovrebbe portare a termine un tratto di ferrovia in grado di trasformare la zona in una località per turisti. A mandare in fumo tutti i piani arriva la guerra. Jadranka abbandona il marito per un musicista magiaro; Miloś viene sì ingaggiato dal Partizan, ma subito dopo deve partire per il fronte; Luka deve accettare che il “suo” tratto di ferrovia sia utilizzato per scopi bellici. Intanto, l’esercito serbo affida a Luka la tutela della bella musulmana Sabaha per scambiarla in seguito con Miloś, fatto prigioniero. Siamo soltanto a metà del film e, oltre allo sviluppo della trama, si susseguono le feste, le risse, le gag e le situazioni grottesche. La musica, scritta dallo stesso Kusturica insieme con Dejan Sparavaldo, pigia ulteriormente sul pedale della frenesia. La seconda parte del film rallenta quel tanto che basta da renderlo comunque un’esperienza piacevole. Luka finisce per innamorarsi di Sabaha, ma il ritorno della moglie, e la possibilità di riavere indietro suo figlio, lo pongono di fronte al dubbio sul da farsi. Questa volta non è la musica a compenetrarsi perfettamente con l’azione, ma il paesaggio che accompagna gli eventi. Le montagne serbe in quella zona di confine rappresentano uno scenario mozzafiato. E Kusturica lì sembra quasi aver voluto portare a termine il progetto affidato al personaggio del suo film, Luka. Nel paesino di Mokra Gora, infatti, ha riadattato la ferrovia di un tempo e i turisti fanno a gara per salire sull’“ottovolante”. Il percorso del trenino è detto così perché ne ha la forma: si chiude su se stesso dopo aver fatto ammirare le bellezze delle montagne del posto e le location del film. Inoltre, poco sopra la partenza della ferrovia Kusturica ha rimesso in piedi un villaggio a mo’ di originale villaggio serbo di inizio secolo. All’interno delle tipiche abitazioni di legno di Drven Grad, i turisti possono trovare prodotti dell’artigianato locale, marmellate fantastiche, una galleria d’arte, una sala cinematografica che proietta di continuo dei cortometraggi del regista. Tra gli altri, si può ammirare Blue gipsy, l’episodio che Kusturica ha girato nell’ambito del film All the invisibile children (2005) insieme ad altri registi come Spike Lee, Ridley Scott, John Woo. Si tratta di un progetto patrocinato dall’UNICEF, cui va l’intero ricavato delle visite a Drven Grad, per cui Kusturica ha scritto la storia di un bambino rom appena uscito dall’orfanotrofio e lungamente festeggiato dai suoi famigliari. Appena intuisce quale vita misera di accattonaggio e furti gli si va preparando, vuole tornare in orfanotrofio. Insomma, anche da un’esperienza meno fortunata di altre a livello di riscontro critico, quale quella della Vita è un miracolo, il regista è riuscito a cavar fuori qualcosa di sorprendente e universalmente condivisibile (inserire foto Mokra Gora e Drven Grad).
La Karmen di Bregović, al contrario, ha conseguito subito un successo di pubblico e critica senza ombra alcuna. “A Belgrado, una volta, guardando la Carmen originale, la cui protagonista è una zingara, mi è venuta voglia di regalarle un finale migliore. Così ho cominciato a scrivere la sceneggiatura per un film. Poi ho messo le musiche ed è diventata un’opera. Non è detto, però, che non sia rappresentabile in un film”, ha raccontato Bregović a Ketty Aredia della “Stampa” durante una recente intervista. La formazione che porta in scena questa Karmen con lieto fine è la solita: l’austera Orchestra di Belgrado, le Voci Bulgare – quattro vocalist straordinarie – lo stesso Bregović e il suo massiccio direttore-percussionista, dietro di loro la Wedding&Funerals Band. Nella primavera del 2004, durante la tournée italiana, il compositore ha ingaggiato Carmen Consoli per una parte nell’opera (quella della fidanzata del poliziotto). La cantante è presente anche nel CD tratto dalla Karmen di Bregović, interpretando Focu di raggia. L’album, uscito nel 2007, contiene 15 brani di grande inventiva, bene arrangiati ed eseguiti. La collaborazione con Carmen Consoli non è certo l’unico legame artistico che Bregović abbia stretto di recente nel nostro Paese. Nel 2005 ha composto le musiche ed è stato tra i protagonisti maschili del film I giorni dell’abbandono di Roberto Faenza. Da segnalare anche l’amore che, lentamente, la sua terra d’origine ricomincia a tributargli. Nel giugno 2005, il vecchio e leggendario gruppo White Button si è riunito per un’esibizione nelle capitali di tre delle repubbliche originate dalla ex-Jugoslavia. Risultato: 70mila persone a Sarajevo e Zagabria, 200mila a Belgrado. Quest’estate, nell’agosto 2007, oltre 100mila persone in delirio hanno stretto Bregović in un abbraccio bollente al festival di Guča. “A 150 chilometri a sud di Belgrado in agosto c’è il più grande evento musicale dell'Europa dell'est, il Festival degli Ottoni, o dei trompécari. Riunisce le sonorità magiare, tzigane e serbo-croate. Una volta nella vita bisogna andare, io non me ne perdo uno”, ha dichiarato in merito (foto e video di Guca). Il festival di Guča, effettivamente, è un’esperienza da ripetere più e più volte. Sarà perché sin dalle prime ore del mattino e fino a notte inoltrata ovunque si suona musica gitana, sarà per la carne squisita che rosola di continuo, sarà per la sfida tra le bande di trombettieri che pare di essere al Carnevale di Rio: ci sarà sempre un altro buon motivo da aggiungere alla scorta.
Reduci dai rispettivi successi teatrali, l’uno con la riduzione del Tempo dei gitani che ha esordito a Parigi e l’altro con la sua versione della Karmen, Kusturica e Bregović lavorano attualmente su progetti che non prevedono alcun ritorno verso una collaborazione. Il regista sembra voler tirar fuori qualcosa dalla storia di Diego Armando Maradona, di cui ha sempre subito il grande fascino; mentre il compositore dovrebbe essere pronto a portare in scena un’altra, personale interpretazione operistica: quella dell’Orfeo di Monteverdi. In cuor loro, tutti si augurano di vederli un giorno di nuovo insieme alle prese con il progetto di un film, o su un unico palcoscenico di un concerto musicale. Sperando che non si risolva come per i tifosi del Toro, che hanno rivisto insieme “i gemelli del gol” soltanto in occasione del 4 maggio 2005 al Filadelfia. E fu comunque uno spettacolo impagabile.

Alejandro S. Ressa