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domenica 24 gennaio 2010
MILANO, UN ANNO DOPO
Molti non hanno il biglietto: né del treno né dello stadio. Gli scompartimenti, gonfi di persone dappertutto, sono avvolti dal fumo degli spinelli (così chiamavano e’ canne negli anni 80, nda). Milan-Roma è solo il solito pretesto per intraprendere un viaggio massacrante, infernale, disumano. Sono gli Ultras della Roma che si recano a San Siro. È la prima volta dopo quel 4 giugno 1989, il giorno in cui Antonio fu massacrato.
Questo viaggio non ha bandiere né latitudini. Non ha santi, eroi e colpevoli. È solo una storia. Come tante delle domeniche ultrà. Ma con una ragione in più: ricordare Antonio. Vendicarlo. Forse.
Anche se i fiori di quella ragazza saranno inutili.
ANTEFATTO
Il 4 giugno 1989 ANTONIO DE FALCHI, non ancora diciannovenne, arriva alle 8:30 di mattina alla Stazione Centrale di Milano assieme ad altri tre amici.
I quattro decidono di raggiungere San Siro per conto proprio, staccandosi dal gruppetto dei quaranta con cui avevano condiviso il viaggio.
Comprato il biglietto i quattro si avviano verso il cancello 16, con le sciarpe giallorosse nascoste sotto al giubbotto. Sono le 11:35 (la partita sarebbe iniziata alle 16:00).
Improvvisamente compare una persona. "Avete una sigaretta?" gli chiede. E poi: "sapete che ore sono?". L'accento romano tradisce Antonio e i suoi amici: un cenno e da dietro una struttura di cemento (c'erano i lavori per Italia 90), sbucano una trentina (!!) di persone. I quattro scappano. Antonio non ce la fa, inciampa (forse per per uno sgambetto) e cade a terra.
Lo massacrano a calci a pugni.
Dopo circa trenta secondi gli aggressori si mettono in fuga per l'arrivo della polizia.
Antonio prova a rialzarsi, è cianotico e respira a fatica; cade nuovamente a terra. Uno degli agenti cerca di rianimarlo con la respirazione bocca a bocca e con il massaggio cardiaco. Inutile. Viene immediatamente caricato sull'ambulanza ma arriva all'Ospedale San Carlo già morto.
Intanto la polizia ferma, nei pressi del cancello 16 tre persone. Si tratta di Daniele F. (29 anni), uno dei capi del "gruppo brasato" e tesserato con pass del "Servizio d'ordine" del Milan, di Luca B. (20 anni) e Antonio L. (21 anni).
Il funerale (a spese della Roma) viene celebrato il 7 giugno 1989 nella Chiesa di San Giovanni Leonardi a Torre Maura davanti a oltre diecimila persone commosse. Sono presenti Dino Viola (che alla fine della cerimonia abbraccia commosso la madre di Antonio), Peruzzi, Nela (che parla commosso con un fratello di Antonio), Giannini e l'intera Squadra dei Giovanissimi della Roma. Il 7 giugno 1989 l'autopsia sul corpo di Antonio stabilisce che la causa del decesso è avvenuta per infarto.
Il 13 luglio 1989 il tribunale di Milano stabilisce il verdetto.
Luca B. viene condannato a sette anni di reclusione con relativa libertà provvisoria.
Daniele F. e Antonio L. sono assolti per insufficienza di prove.
ROMA TERMINI
Manca più di un’ora alla partenza. Sono le 22, 15. Il treno per Milano Centrale è segnalato in partenza alle 23,30 sul binario 13.
La biglietteria è ancora aperta. Un cordone di poliziotti in tenuta antisommossa cerca di contenere due, trecento ragazzi che strillano, fanno caciara, si spintonano e cantano a squarciagola:
“un solo grido un solo allarme, Milano in fiamme, Milano in fiamme!!”.
Il dirigente della Digos, in radiolone e trench d’ordinanza, redarguisce i ragazzi, senza cavarne nulla: “ aò, se nun state boni e zitti nun ve faccio mette piede su sto treno! Avete capito! Sta partita va faccio sentì pe’ radio! Avete capito?”.
Anzi.
“ a commissà ma perché nun te ne vai a fanculo? Con tutto er core de sta Roma bella!”
da più parti lungo la fila: “commissario vaffanculo, commissario vaffanculo!”
Ad un tratto dal fondo della stazione, vicino a quel gruppetto dei più refrattari all’acquisto dei biglietti:
" a’ commissà! ‘Tacci tua e de chi nun te lo dice co' na mano arzata".
E tutta Stazione Termini alzando la mano "Tacci tuaaaaa!", e ancora quello dal fondo della stazione, che rispondeva " a commissà! Saluta 'sto cazzo!" e tutti e trecento a ridere, compresi celerini e bigliettaio!
In tanti aspettano. Seduti per terra in mezzo alle pensiline, appesi alle inferriate, stravaccati sui portabagagli e sui carrettoni della posta.
“carabiniere sbirro maledetto, te la spegniamo noi la fiamma sul berretto!”.
I viaggiatori normali girano al largo. Guardano nauseati e scandalizzati. Eludono i bivacchi improvvisati di ragazzetti che si passano canne e tubi olezzanti marijuana e hashish. Alcuni fanno spola entrando ed uscendo dai cessi della stazione, sotto lo sguardo benevolmente complice degli sbirri che fanno finta di non capire.
“Latrina Nucleo Colombia” scrive qualcuno con lo spray sulla porta di vetro dei cessi.
Sempre in gruppetti. Sono compagnie di quartiere. Ragazzi di borgata o dei Parioli, non fa differenza: sono ultras della Roma. Sono vestiti chi da tozzo con le clark e i jeans 501 a vita bassa e il bomber verde, chi da fighetto con le timberland i ray ban a specchio anche di notte e lo schott di pelle nera. Chi con i capelli lunghi da frekkettone e la sciarpa di lana grezza giallorossa e il cappelletto di lana modello ‘er monnezza, chi con i capelli rasati e abbronzato come Gustavo Thoeni dopo una gara di coppa del Mondo di Sci a Cortina. Ragazzi di vita.
Ma sono tutti lì per lo stesso motivo.
“semo avvelenati!”
Hanno un solo movente. Un solo scopo. Vendicare Antonio. Il tifoso romanista assassinato 4 mesi e mezzo prima dai milanisti prima di Milan-Roma a San Siro. E non gli importa se riusciranno o meno a vedere la partita. Non gliene frega niente.
E più passa il tempo e più cantano. I soliti cori, di violenza e intolleranza per Milano.
“Milan-Roma non la scordiamo, ogni rossonero lo massacriamo!”
Cantano per la Roma e inneggiano ad Antonio.
“eoeoeoeoeooa Forza Roma dai noi non ti lasceremo mai! Eoeoeoeoeoeoa Forza Roma dai, lotta e vinci insieme a noi!”.
“Antonio vive e lotta insieme a noi, Milan Milan Vaffanculo!”
Più il treno si avvicina e più il volume e l’intensità dei cori aumenta.
“Milano in Fiamme , Milano in Fiamme!!”
“milanesi tutti appesi, milanesi tutti appesi!”.
Il treno è già stracolmo di passeggeri normali. È un espresso che dovrebbe partire appunto alle 23,30.
Arrivo previsto in Centrale nella nemica Milano alle ore 8,15 del mattino. Probabilmente è lo stesso treno che prese Antonio.
Gli ultras della Roma assaltano il treno. Al binario 8 c’è un cordone di sbirri che vengono travolti. Controllano chi possono, ma non riescono a fermarli.
“chi non ha il biglietto non può salire, chiaro !?”
Salgono tutti.
Da ogni parte, dilagano come una fiumana. Spazzano via tutto. Mettono er culo ndove je pare e piace.
Ci sono i posti prenotati, ma rapidamente i bigliettini color crema messi sull’ingresso diventano carta da filtro. Si chiudono dentro ed iniziano a cremare canne su canne.
Il vagone è gravido, ribollente di corpi e anime eccitate. La gente dalle pradelline lancia occhiate sghembe e sdegnate. I binari sono incandescenti.
Saranno mille e più gli ultras. Ci vogliono altri tre vagoni per infilarci tutta la fiumana.
A mezzanotte e mezza il treno salpa. Dai vagoni di seconda classe di alza un boato sinistro.
TRENO NOTTURNO
Gli scompartimenti sono bui. Le tendine tirate.
Nessuno accende le luci, si sono bombardati di canne e coca. Alcuni reduci degli anni 70 si sono anche bucati. Ma vengono schifati dai più. Qualcuno si aggira in cerca di borse e portafogli da asciugare ai passeggeri più sbadati. Gli occhi sono annacquati come quelli delle rane. Puzza il corridoio, puzza tutto il treno. L’aria è massiccia, pesante, cruda come carne sfregata contro l’asfalto mentre in dieci, venti, trenta ti calpestano e ti catapultano calci in faccia, nella schiena, nello stomaco, in testa.
Corpi sudati, appiccicosi, come una brigata di asmatici. Gli stessi che calati i finestrini, scatarrano e sputano sulle teste dei passeggeri che attendono nelle varie stazioni in cui il treno degli ultras fa scalo.
Ogni tanto una pattuglia di sei poliziotti assegnati alla scorta di tutto il treno, cinque uomini ed una donna, fanno su e giù stando attenti a non inciampare nei corpi che dormono stravaccati ovunque e soprattutto di non urtare la sensibilità di chi se sta a drogà in santa pace.
Ci sono pure un paio di digos in borghese, con il walkie-talkie che spunta da sotto il giubbetto con il suo fastidioso cicalare.
A Firenze il treno si agita ad un tratto. Sarà intorno alle tre e un quarto. Qualcuno urla che ce stanno i viola a tirà i sassi dalla massicciata di Campo di Marte. Ma deve essere stato solo un effetto allucinogeno di qualche sostanza. Si ritorna a dormire. Fra smoccoli, imprecazioni ed un briciolo di delusione.
A Bologna la pattuglia di sbirri si ingrossa: diventano nove, fra cui un’altra poliziotta. Questa è anche molto carina. Alta, mora, snella. Getta lo sguardo sul tappeto di immondizia che colora il pavimento del corridoio, sul quale dormono rattrappiti decine e diecine di giovani: cicche di sigarette, mozziconi di spinelli, carta igienica, fogli della gazzetta inzuppati di piscio, vomito e varie ed eventuali. È nauseata.
Molti dormono sulle retine dei bagagli, altri rimangono rintanati dentro le latrine.
Gli sbirri passano, gli ordinano di scendere che per motivi di sicurezza lì non si può stare. Li rimbalzano amabilmente i più. Li ignorano tutti gli altri, fra un vaffa e uno sbirro de merda fatti li cazzi tua!
Il treno ora attraversa la pianura padana di notte, ed è la luna che illumina sinistramente quei corpi violentati dalla velocità mentre inerti attendono di sbarcare in territorio nemico. Dormono sopraffatti dalle droghe, forse per ingoiare la tensione e la paura. Oltre che quella rabbia furibonda e oscena che arde in fondo al cuore.
Il mattino ne sorprende un paio già in piedi a scambiarsi fumo e cartine.
Si chiamano con nomi di battaglia. Geppo, Peppone, Teschio, Veleno, Fischione, Drago...Sembrano i personaggi di Ultrà di Ricky Tognazzi. Ma non sono quelli der Commando, “gli sbandieratori e i coristi” come li chiamano sprezzantemente quelli della Brigata Veleno. Ecco, questi di sto treno sembrano proprio la cricca guidata da Amendola - Er Principe. Sbandati, tossici, violenti, figli di papà dei Fleming o dell’Eur e naufraghi delle borgate più disperate, di Colle Oppio, di Casalbertone centurie lontane milioni di anni luce dal centro scintillante di Piazza Navona e Via del Corso. Non hanno le bandiere e gli striscioni. Hanno qualche sciarpetta che servirà più che altro a celargli il volto una volta sbarcati a Milano. Alcuni forse nascondono lame, taglierini e cacciaviti. Molti sanno che se lo scontro ci sarà, sarà duro e senza quartiere. E se ci si metteranno di mezzo gli sbirri peggio per loro.
MILANO CENTRALE
Il ritardo è perfetto. Le volte napoleoniche in acciaio e vetro della stazione Centrale accolgono il treno degli ultrà impregnate in un densa coltre di nebbia. Stereotipo largamente onorato.
Un gruppo di agenti affannati attende in assetto antisommossa.
Gli ultras della Roma, petto in fuori, a penzoloni dai finestrini, urlano come dannati. Strillano e infamano.
“Solo la nebbia, c’avete solo la nebbia!!”
“Milan, Milan vaffanculo!!”
“merde ve sfonnamo!! Assassini di Antonio nun ce scordamo!”
“siamo arrivati, bastardi, siamo arrivati!”
La polizia è in testa al binario. Stringono le mani attorno agli strumenti di lavoro, mentre la paura di una domenica di violenza impalpabile come la foschia di Milano prende il sopravvento.
Due colonne di fucili, manganelli e scudi li ingloba non appena sbarcano sulla battigia di pietra delle pensiline. Sembra quasi che vogliano proteggere l’intera città dalla foga cieca di quei mille. Non il contrario.
In mezzo alla bolgia anche un ragazzino, avrà 10 anni, non di più.
La violenza scende sottoterra.
La metropolitana viaggia nel ventre di Milano. Gli ultras della Roma vengono scortati fino a sotto il parcheggio dei taxi e di li condotti in un vagone vuoto, tutto per loro. Nel tragitto insulti e tentativi di sfondare il cordone degli sbirri non si contano più. La fiumana giallorossa invade Milano. Di rossoneri, ultras, nemmeno l’ombra.
Anzi, due intrepidi con sciarpe rossonere delle Brigate, dall’altra parte dei binari urlano qualcosa all’indirizzo dei giallorossi. Un paio se ne staccano, attraversano i binari, dieci secondi di calci e pugni prima che intervenga la police e il milanista e lì per terra in una pozza di sangue, mentre il suo socio si era già dileguato.
Ora la tensione diventa via via più palpabile. L’aria è quella pesante dello scontro imminente. Cercato. Desiderato. Evocato.
I romani come le legioni di Cesare lanciano messaggi non proprio subliminali alla città. Come dire: Ci siamo! Vi stiamo aspettando. E lo fanno a modo loro.
Con i soliti canti belluini. Con la violenza gratuita contro qualunque cosa dica: Milano.
Sfregio e disprezzo in ogni vetro che si frantuma, in ogni coro che si intona.
La caccia al milanista è incominciata.
Ancora qualche fermata di Linea Gialla.
A Cadorna si cambia vagone. Anzi vagoni. Due e tutti per i romani!
La Verde è quella che va a San Siro.
Nel trasferimento verso il vagone che andrà a Piazzale Lotto una pietra infrange i finestrini. Gli sbirri si agitano sempre più. Sono verdi in viso. Salgono i foulard amaranto e anche qualche bandana rossonera a celarne il volto sotto i caschi blu. Le mani stringono i fucili e mulinano nervosi i manganelli.
Sono pochi. Gli ultras tanti e avvelenati, come vanno ripetendo da 800 kilometri e molte ore a questa parte.
I legionari di Roma sfilano in mezzo alla domenica meneghina. Cadono ancora alcuni vetri. Il carabiniere più giovane e terrorizzato inizia a colpire a casaccio con il calcio del moschetto nelle ginocchia a chi gli capita a tiro. Un ragazzotto, ancora in botta piena dalla notte prima, sfugge al cordone e si avventa su un’attempata cittadina milanese cercando di scipparle la borsa. La megera resiste. Malmena a sua volta il ragazzotto a colpi di borsetta. Sembra una scena di Ridolini. Ridono tutti, anche il vice questore che va a recuperare il maldestro scippatore rigettandolo nel branco.
Il corteo nel frattempo esce dal tunnel.
La visione imponente del Meazza mozza il fiato e scalda il sangue.
È lo stesso percorso che fece Antonio. A qualcuno sembra di vederlo.
Eccolo lì, che spunta dalla metropolitana e con la sciarpa della Roma nascosta sotto ar giubbetto si avvia coi suoi due compagni verso il monumentale impianto. È un attimo: due o tre del Milan gli si avvicinano, gli chiedono che ore sono o se ha da accendere. La solita scusa der cazzo. Più o meno la stessa che usano a Roma per sgamarti quando dalla Palla o dallo Stadio del tennis ti avvì verso il settore ospiti a piedi dopo aver lasciato l’automobile nel parcheggio. Tutto il mondo è paese.
È un attimo: un cenno e da dietro le impalcature per i lavori di Italia 90 uno sciame di rossoneri escono allo scoperto urlando e correndo come dei pazzi.
Romani di merda vi ammazziamo!
È un attimo: i due soci di Antonio sono lesti a fuggire. Lui rimane imbambolato. È un attimo. Uno sgambetto. Cade a terra. Gli sono sopra. In dieci, venti, forse trenta. È un attimo. Calci in testa, pugni, forse qualche bastonata.
È un attimo: arrivano due o tre carabinieri. I milanisti si dileguano. Antonio è lì per terra. I carabinieri lo soccorrono. Uno lo aiuta ad alzarsi. Antonio sembra riprendersi. Ma è cianotico. Cade per terra. Non respira. Il cuore si è avvolto in se stesso. Gli occhi si rigirano verso il cielo infuocato di un’afosa Milano di inizio giugno. È un attimo. Antonio muore con la sciarpa della Roma nascosta sotto ar giubbetto.
È un attimo.
Una sassaiola parte all’indirizzo di una Uno bianca che sventola ed espone sciarpe e bandiere del Milan. Parte la carica dei carabinieri, più decisa e violenta stavolta.
All’imbocco di Via Satrico il corteo è grosso e rumoroso.
I bastioni di San Siro sbucano mostruosi e minacciosi dalla nebbia.
Dalle villette borghesi di San Siro si levano sguardi assonnati da dietro le finestre appannate e scrutano quella malabolgia che inveisce e sfida il vento. Sono appena le 9,30 del mattino. Volano i primi sassi contro le finestre.
I romani vengono pressati e chiusi in un piazzale con alle spalle inferriate e senza via d’uscita. Ma ormai è tardi. I romani sono gasati dalla vista dello stadio e i poliziotti sanno che non potranno contenerli a lungo. Ricominciano a farli marciare e li conducono fin quasi sotto la curva del Milan. Sono le dieci del mattino, non dovrebbero esserci problemi. E invece ce ne sono. Un gruppo di romanisti si stacca dal corteo e saccheggia un ambulante che espone sciarpe e bandiere del Milan. Il gruppo travolge un giovanotto in vespa che strepita chiedendo strada: calci, pugni e sputi. Il vespino grigio rotola per terra, con la targa Mi che viene scalciata e staccata. Il ragazzo con il casco rosso integrale rotola per terra, viene salvato dal linciaggio dai carabinieri.
Ora gli ultras romani si dirigono minacciosamente verso un baretto ambulante frequentato solitamente dagli ultras rossoneri: lanciano sassi e caricano anche il furgone dei panini.
Dicono di avere fame: “volemo fa’ colazione!”. La Celere li carica nuovamente, spara lacrimogeni in aria, cerca vanamente di contenerli.
Tre colpi di fucile sparati in aria bloccano l’assalto e il paninaro chiude i battenti. Intanto dai lati dei vialoni iniziano ad arrivare alla spicciolata gruppi di ultras del Milan. Senza sciarpe e segni distintivi. Guardano, prendono nota e partono con le staffette ad avvisare gli altri che “i romani sun chi”.
La paura è ai piedi di San Siro.
Intanto gli sbirri capiscono che sotto la Sud non è aria. Compattano il gruppone e lo trasferiscono sotto il settore ospiti.
Passano in piazzale Axum. Sostano davanti il posto dove hanno massacrato Antonio. Gli animi si esasperano.
Ancora cariche violentissime con la polizia e i carabinieri. Due romani vengono fermati ed arrestati. Il bar all’imbocco di Via Caprilli viene chiuso per motivi di sicurezza.
Nel frattempo i milanisti arrivano sempre di più. Da Via Caprilli si riversano in piazzale Axum e si ammassano a ridosso del cordone degli sbirri, i quali si rendono conto di essere troppo pochi nel caso in cui la situazione dovesse degenerare. Ed infatti. I romanisti iniziano una fitta sassaiola contro i rossoneri. Cercano di sfondare il cordone. Gli sbirri indietreggiano, cercano di ripararsi dalla pioggia di sassi e bottiglie. Finita la carica dei romani, riparte furibonda quella della celere, con manganelli impugnati all’incontrario e fucili dalla parte della canna. Caricano sia i romani che i milanesi. Questi ultimi indietreggiano di corsa per poi ricompattarsi all’imbocco di Piazzale Axum.
Ora i due schieramenti sono a pochi metri l’uno dall’altro, separati solo da un esile treccia di militi. Arrivano rinforzi. Ma le due fazioni raggiungono contatti sporadici. Brevi e furiosi corpo a corpo, cinghie, bottiglie rotte, aste di bandiere, manici di piccone. Qualunque cosa viene usata. Volano le transenne. Gli sbirri sbandano nuovamente. La violenza ultras non si può arrestare. Sparano di nuovo lacrimogeni, ma stavolta ad altezza’uomo. Esplode un maresciallo altri due o tre colpi di rivoltella in aria. Gli animi sembrano raggelarsi quando surreale, nel bel mezzo della guerriglia urbana, una ragazza con la sciarpa giallorossa e un mazzo di garofani si fa strada fra i due schieramenti. Vorrebbe deporre il mazzo di fiori sul selciato dove morì Antonio.
Sotto quel pilone, dove l’anno prima…
Ma gli sbirri sono irremovibili.
Non la fanno passare.
L’orda giallorossa fa paura. Gli scontri e le scaramucce si susseguono ad intermittenza, allora qualcuno dai quartieri alti ha un’illuminazione: aprite i cancelli e fate entrare i barbari dentro lo stadio.
È mezzogiorno ormai. Ma la nebbia avvolge sempre tutti in un clima spettrale di violenza e scontri. E dalla nebbia della droga appare la violenza ultrà.
Gli sbirri sono di nuovo disorientati, vengono sballottati da un lato all’altro, si susseguono ordini contraddittori. “ma i biglietti, ce l’hanno questi qui i biglietti?”
E come la solito romanamente il gruppo inizia a cantare:”senza bijetto, entramo senza bijietto…”.
Le maschere dell’A.C. Milan aprono i cancelli e la fiumana sfonda. Chi con il tagliando, i più senza. Ma le maglie della repressione pescano nel mucchio e fermano un ragazzino con il coltello nascosto nei calzini ed una altro giovane con 5 proiettili calibro 6,35 in tasca!!
ROMA CAPITALE, MILANO SUCCURSALE!
I romani appollaiati sulla piccionaia che da sull’esterno assistono alla sfilata dei milanisti sotto. Urla e gestacci, minacce e bottiglie vuote che partono da una parte e dall’altra.
I romani vanno al cesso in fila indiana. Fischio d’inizio fra l’indifferenza dei romani che pensano solo ad insultare e invocare vendetta per Antonio.
Compaiono gli striscioni di carta:
Milanesi tutti Appesi
Roma Capitale Milano Succursale!
Gli sbirri e gli ultras ora guardano la partita insieme. I primi con le mani gelate e il sangue rappreso. Gli altri fumando canne e inveendo contro le volte di acciaio del secondo anello di San Siro.
La partita finisce e nessuno si ricorda il risultato.
Ancora un sussulto quando dopo la gara i milanisti cercano un contatto in Piazzale Lotto. Di nuovo sassi e lacrimogeni e fermati e sbirri feriti. Di nuovo metropolitana sotto scorta. Di nuovo cori al cianuro. Di nuovo vetri che si infrangono. Di nuovo un treno nella notte che riporta gli ultras romani a casa. Di nuovo sudore, caldo, canne e cocaina. Di nuovo gente appesa al portabagagli, accovacciata sul pavimento dei corridoi, fame e stanchezza che assalgono.
L’invasione di Milano è riuscita. Il caos giallorosso ha terrorizzato la città della nebbia.
Antonio è stato ricordato.
Forse.
Mentre quel mazzo di garofani rossi con nastro giallorosso giace abbandonato sulla panchina di marmo di Roma Termini.
Ore 4, 23 del mattino, quattro mesi e mezzo ed un giorno dopo.